Il caffè crudo, prima di essere importato in Italia, subisce delle lavorazioni ancora in piantagione.
Esse sono fondamentali per permettere al torrefattore di riuscire a tostare il caffè al meglio, avendo un chicco pronto per la “cottura”.
Ma come viene lavorato il caffè dopo il raccolto? Quali metodi esistono? E che differenze gustative presentano poi in tazza?
Esistono 2 metodi principali di lavorazione del caffè crudo:
- Naturale
- Lavato
Il metodo di lavorazione naturale o a secco
I chicchi vengono stesi al sole ad essiccare, ancora contenuti all’interno delle drupe, ossia delle ciliegine che si trovano sulla pianta di caffè.
Alla fine dell’essiccazione vengono decorticati, ossia viene tolta la buccia e la polpa, estraendo e conservando solo i chicchi.
Questa lavorazione rende il caffè finale in tazza, se ben tostato ed estratto, morbido, ricco e corposo, con note dolci e fruttate.
Lasciando infatti anche la polpa ad essiccare, si ha il tempo di far trasmigrare gli zuccheri all’interno del chicco, accentuando la sua dolcezza.
Il metodo di lavorazione lavato o umido
Per questa tipologia di lavorazione, che nella tazza finale esprime una maggiore acidità e note più delicate, fruttate e floreali, si cercano di utilizzare caffè arabica selezionati ed esenti da difetti. Inoltre vengono raccolti con il metodo picking, ossia una selezione manuale accurata solo delle drupe mature al punto giusto.
Dopo di che le drupe vengono inserite in vasche di separazione con acqua pulita, per un ulteriore controllo qualità; in questo modo le ciliegie mature ed immature cadono sul fondo, mentre quelle secche e marce rimangono a galla. Quest’ultime verranno così eliminate.
A questo punto si svolge uno spolpamento meccanico, conservando solo i chicchi crudi ricoperti ancora dal pergamino, ossia la sottile membrana che avvolge ogni singolo grano.
I chicchi vengono quindi inseriti in vasche d’acqua dove fermentano per un numero di ore e/o giorni stabiliti dalla piantagione dopo una serie di test ed esperienze.
Alla fine del lavaggio, i chicchi passano sempre in una fase di essiccazione al sole, come nel metodo naturale.
Da sottolineare che la fase di essiccazione è una delle più delicate, in quanto, se non ben curata, il chicco sovra-fermenta, portando poi in tazza sentori di marcio, muffa o alcolicità.
Esistono delle distinzioni anche su come si svolge l’essiccazione, ma ne parleremo in un altro articolo.
Oltre a questi due metodi principali si sono però affiancate altre varianti negli ultimi anni, come il semi-lavato, l’honey process ed il wet hulled.
Il primo, il metodo semi-lavato, è un incrocio fra il naturale ed il lavato, in quanto:
- La raccolta è sempre manuale e selettiva come per il metodo lavato;
- Però la selezione delle drupe ed il loro spolpamento avviene manualmente o meccanicamente, come nel metodo naturale;
- Infine i chicchi subiscono un lavaggio ad acqua a pressione, il quale passaggio segna la differenza principale con il metodo naturale;
- Si chiude sempre la lavorazione con la fase di essiccatura al sole.
In tazza un caffè semi-lavato è pulito e delicato, con una buona acidità, ma anche un buon corpo, lasciando spazio alla dolcezza.
Se desideri testare sulla tua pelle le differenze che le diverse lavorazioni portano in tazza ti suggerisco 3 monorigine Ernani:
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- Il Kalledevarapura Indiano, un caffè arabica semi-lavato, con una buona acidità, bilanciata da una buona dolcezza, ed un incredibile ventaglio aromatico SCOPRI DI PIÙ >>
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Il secondo invece, ossia l’Honey process, che ebbe origine in Costarica, è forse uno dei più delicati.
Honey in italiano significa miele, ma non farti influenzare dal nome, il quale dipende solo dalla consistenza gellosa che la polpa assume in fase di essiccazione.
Essendo un metodo molto delicato e complicato viene usato in modo principale per caffè di una certa qualità, raccolti con un’accurata selezione manuale.
Segue lo spolpamento, lasciando però uno strato di mucillagine, ossia di polpa, sui chicchi. Essa, come avviene per il metodo naturale, permette una migrazione degli zuccheri nel chicco, rendendo poi la tazza finale dolce e intensamente aromatica.
A seconda poi di quanta mucillagine viene lasciata sui chicchi si ha una divisione del metodo honey in Black se è presente al 100%, Red se invece ne viene lasciata il 75%, Yellow se ne rimane il 50% ed infine Golden o White se ne viene lasciata tra il 25% e il 10%.
L’essiccazione avviene sempre al sole, ma richiede tempi più lunghi.
Il rischio di sovra-fermentazione, con il conseguente danno ai chicchi è molto alto, per questo è complicato e delicato, ed il suo uso richiede grande esperienza ed attenzione da parte dei coltivatori.
Ed infine arriviamo al metodo Wet Hulled. È ad oggi poco usato, essendo ancora una novità, per la sua particolarità di lavorazione.
Si ha sempre una raccolta meticolosa e manuale dei chicchi ed una spolpatura.
A questo punto i chicchi in pergamino, subiscono una rapida fermentazione in teli di plastica, per poi essere lavati.
Dopo di che vengono fatti essiccare al sole, ma solo in modo parziale, fino al 50%.
È l’unico metodo che presenta la rimozione del pergamino prima della fine dell’essicazione totale. Quando infatti il chicco è umido al 25/30% si rimuove anche l’ultimo strato sottile, definito come già detto pergamino, e viene solo dopo conclusa l’essiccazione.
In questo caso il caffè finale in tazza risulta dolce e complesso, con una grande personalità.
Un ulteriore metodo, molto moderno e per questo ancora pochissimo usato, è la Carbonazione, nel quale i chicchi vengono fatti fermentare in botte, come avviene per il vino, con aggiunta di CO2, ossia anidride carbonica.
Con questo articolo abbiamo concluso la sommaria analisi del ciclo di lavorazioni che avvengono in piantagione, prima che i chicchi siano importati ed arrivino al torrefattore, pronti per la “cottura”.
Da ciò si evince come la qualità di un caffè, non derivi dalla mera distinzione di arabica e robusta, ma dipende dall’attenzione meticolosa che il coltivatore ripone in ogni singolo passaggio, dalla selezione della varietà di caffè, dalla coltivazione ed espressione delle qualità intrinseche della pianta, dai metodi di raccolta ed infine dalla lavorazione.
A questo punto si aggiunge però un altro anello: il torrefattore. Esso può continuare a lavorare al meglio, esaltando ogni pregio del caffè di qualità acquistato, o rovinare tutto in fase di cottura. Ma di questo parleremo nei prossimi articoli.